Canone Rai importo ribassato dal 2019

Il costo dell’abbonamento verrà ridotto a 90 euro per il 2019 e per gli anni venire.

Gli abbonati dovranno dunque pagare, nella bolletta dell’elettricità, 10 rate da 9 euro ciascuna: è quanto stabilito nella legge di Bilancio 2019.

Solo per chi paga il cosiddetto canone speciale, nei casi in cui la televisione sia detenuta in un locale pubblico, ed in ulteriori casi particolari, l’imposta non è addebitata nella bolletta.

Se sei in affitto e la televisione è del proprietario della casa, il canone ti viene comunque addebitato in bolletta se il contratto di fornitura dell’energia elettrica è intestato a te e hai la residenza nell’immobile in questione. Invece se il contratto della luce è intestato al locatore, devi versare il canone con modello F24.

Se non ricevi il canone in bolletta e sei obbligato al pagamento, per evitare le sanzioni devi dunque saldarlo tramite modello F24. Il modello deve essere compilato indicando i codici:

 

  • TVRI, se si è già titolari di un abbonamento Rai e si deve pagare per il consueto rinnovo annuale;
  • TVNA, se si deve saldare un nuovo abbonamento.

L’importo dell’abbonamento, come già esposto, è pari a 90 euro; l’anno da indicare nel modello è quello corrente, a cui si riferisce l’abbonamento.

Se la stessa famiglia anagrafica detiene più apparecchi, il canone si paga una volta sola, indipendentemente dal numero di abitazioni in cui sono presenti gli apparecchi, a condizione che i familiari abbiano la residenza nella stessa abitazione.

In parole semplici, si paga il canone una volta sola:

  • se nella stessa abitazione ci sono 2 televisioni o più;
  • se i coniugi  hanno la residenza nella stessa casa, ma uno dei due possiede un’altra casa dove è attiva la luce; in quest’ipotesi si paga solo il canone presso la casa di residenza.

Naturalmente, se sei esonerato dal pagamento del canone non è necessario che effettui alcun pagamento, né in bolletta né tramite F24.

Sei esonerato se:

  • all’interno della tua famiglia anagrafica qualcuno paga già il canone;
  • hai compiuto 75 anni di età, il reddito familiare non supera 8mila euro annui ed è stata presentata l’apposita dichiarazione sostitutiva: l’esenzione è valida anche se a possedere i requisiti è un componente della famiglia anagrafica;
  • l’esonero è disposto da convenzioni internazionali ed è stata presentata l’apposita dichiarazione sostitutiva: l’esenzione è valida anche se a possedere i requisiti è un componente della famiglia anagrafica;
  • è stata presentata la dichiarazione sostitutiva di non detenzione di apparecchi televisivi, anche da parte di un componente della famiglia anagrafica.

Altre categorie di soggetti esentati dal pagamento del canone Rai sono :

  • Militari delle Forza Armate Italiane: ospedali militari, case del soldato e sala convengo dei militari delle Forze Armate.
  • Rivenditori e negozi in cui vengono riparate TV.

Non deve pagare il canone Rai chi non possiede una televisione. Il pc o il tablet sui quali si vede la televisione in streaming non sono equiparabili alla televisione.

Se rientri in uno dei casi di esenzione, ma hai intestata un’utenza elettrica ,puoi chiedere l’esonero dal pagamento del canone compilando la dichiarazione sostitutiva predisposta dall’Agenzia delle Entrate.

Puoi inviare il modulo direttamente online sul sito dell’Agenzia delle Entrate, oppure tramite pec (posta elettronica certificata), all’indirizzo cp22.sat@postacertificata.rai.it, o tramite raccomandata A/R all’indirizzo: Agenzia delle Entrate Ufficio di Torino 1, S.A.T- Sportello abbonamenti tv- Casella Postale 22-10121 Torino.

La domanda deve essere presentata dall’intestatario dell’utenza elettrica.
Le scadenze per presentare la dichiarazione di esenzione sono:

  • 31 gennaio: chi presenta la dichiarazione entro questa data è esonerato dal pagamento per l’intero anno;
  • sino al 30 giugno: chi presenta la dichiarazione entro questa data è esonerato dal pagamento per il secondo semestre (luglio-dicembre).

Se continui a non detenere l’apparecchio televisivo negli anni successivi, devi presentare la dichiarazione sostitutiva ogni anno.

Figli si può dare il doppio cognome

Con la sentenza della Corte costituzionale numero 286/2016 si è previsto che al cognome del padre si possa affiancare anche quello della madre.
La sentenza della Consulta, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme del codice civile che non prevedevano questa opportunità, non è in realtà stata seguita da alcuna legge specifica sull’argomento.
A tale carenza ha però posto rimedio il Ministero dell’interno che, con la circolare numero 1/2017 ha sollecitato i sindaci a fornire le direttive necessarie ai loro uffici di stato civile con il fine di garantire l’applicazione dei principi di diritto affermati dalla Corte costituzionale, invitandoli ad accogliere le richieste dei genitori che intendono attribuire ai figli il doppio cognome.

Il doppio cognome può essere attribuito, naturalmente, anche ai figli di coppie non sposate e ai figli adottivi.

La questione, però, non è semplice come sembra e nel corso degli anni si sono posti alcuni interrogativi circa l’esatta portata della nuova possibilità.
Dato per assodato che il cognome paterno non può essere eliminato, ci si è chiesti, ad esempio, se la madre possa dare al figlio il proprio cognome, aggiungendolo a quello del padre, anche senza il consenso di quest’ultimo. A tale interrogativo, di recente, ha dato risposta il Tar del Lazio, con la sentenza numero 11410/2018.
Il Tribunale Amministrativo ha in particolare affermato che la richiesta di modifica del cognome del figlio minore è un atto civile che i genitori possono presentare solo nell’esercizio della rappresentanza legale, con il consenso congiunto, salvo solo il caso in cui la madre o il padre sia stato privato della potestà genitoriale.
Se non vi è accordo sul doppio cognome, quindi, lo stesso non può essere attribuito dall’ufficio, ferma restando la possibilità per ciascuno dei genitori di ricorrere senza formalità al giudice civile.
Se, invece, l’accordo c’è, basta renderlo palese all’ufficiale di stato civile, che registrerà il nome del figlio con i due cognomi.
Non sono necessari particolari documenti e la volontà può essere manifestata oralmente.

In ipotesi di attribuzione del doppio cognome, l’ordine non può essere invertito ma è prestabilito: il cognome della madre si aggiunge in coda a quello del padre.

Resta comunque ferma l’ipotesi in cui il bambino sia figlio di una coppia non sposata e il padre non lo riconosca. In tal caso, egli non potrà acquisire che il cognome della madre.

Furto in appartamento: il condominio è tenuto a risarcire se l’impianto di videosorveglianza non è adeguato o non funziona e se ci sono i ponteggi per i lavori di ristrutturazione

Furto in appartamento: se la colpa è della videosorveglianza

Se il condominio ha deliberato l’installazione di un sistema di videosorveglianza e questo dovesse essere guasto o non adeguato a prevenire i furti (si pensi al caso in cui l’angolo di visuale della telecamera non è in grado di percepire l’arrivo dei ladri), il condominio può essere ritenuto responsabile per il furto in appartamento o nel negozio al piano terra. Questo significa che il condomino derubato può chiedere il risarcimento dei danni subiti all’amministratore il quale, previa autorizzazione dell’assemblea, dovrà liquidare l’indennizzo. A dirlo è il tribunale di Latina, secondo cui il condominio risponde delle carenze del sistema di sorveglianza se hanno facilitato il furto in uno dei locali. Non rileva il fatto che l’impianto sia stato concesso in comodato al condominio da una società incaricata del sistema di allarme. Se poi risulta che la società terza non ha svolto a dovere i propri compiti, sarà possibile un’azione di rivalsa.

Furto in appartamento: se la colpa è del portone di ingresso

Lo stesso principio si può applicare per qualsiasi altro servizio condominiale non funzionante come per il caso del portone d’ingresso. Si pensi ad un palazzo al cui interno si possa accedere facilmente per via del guasto alla serratura che consente l’ingresso nell’atrio comune e, di lì, alle scale e agli appartamenti. L’amministratore, in quanto supervisore di ogni parte comune dell’edificio e della sicurezza dello stabile, è tenuto ad attivarsi immediatamente, con o senza le segnalazioni da parte dei proprietari. Se non lo fa è responsabile in prima persona. Chiaramente, le segnalazioni ricevute in passato dagli interessati aggravano la sua posizione. Seguendo la stessa linea interpretativa sposata dal tribunale di Latina, resta tuttavia la corresponsabilità del condominio che ha, non provvedendo alla riparazione del portone, agevolato l’ingresso dei malviventi nelle unità immobiliari.

Furto in appartamento: se la colpa è dei ponteggi

Se, su una facciata qualsiasi del tuo palazzo, sono stati installati dei ponteggi necessari all’esecuzione di alcuni lavori di ristrutturazione, l’ingresso dei ladri potrebbe essere stato agevolato proprio da tale struttura che conduce fino alle finestre degli appartamenti e dall’assenza di un adeguato sistema di allarme.

Di tanto si è occupata più volte la giurisprudenza e, da ultimo, la Cassazione con una recente ordinanza. Ma chi è responsabile: la ditta edile o il condominio?

Innanzitutto, potrebbe essere configurabile la responsabilità della società esecutrice dei lavori. All’appaltatore può essere, in particolare, contestata l’omessa adozione delle cautele necessarie per impedire l’uso anomalo dei ponteggi se, trascurando le più elementari norme di diligenza e perizia ha agevolato l’accesso ai ladri e il furto nell’appartamento.

Ma si può parlare anche di una responsabilità del condominio. In base al nostro codice civile difatti chi ha il beneficio dell’opera dei sottoposti ne sopporta anche i rischi. La colpa del condominio potrebbe essere stata nell’aver esonerato la ditta appaltatrice dall’installazione di un impianto di allarme collegato ai ponteggi, da attivare durante la notte (precauzione alla quale, di solito, le società fanno corrispondere un aumento del prezzo per i lavori).

Il condominio poi potrebbe essere considerato responsabile per aver scelto un appaltatore inadeguato per l’esecuzione dell’opera, oppure quando l’impresa è stata una semplice esecutrice degli ordini del committente; oppure, ancora, se l’amministratore abbia omesso di sorvegliare l’operato dell’impresa appaltatrice.

Il Comune gonfia la TARI Ecco come scoprirlo ed ottenere il rimborso

La tassa sui rifiuti (TARI) è il tributo destinato a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi.

La TARI è stata introdotta, a decorrere dal 2014, dalla legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), quale tributo facente parte, insieme all’IMU e alla TASI, della IUC. La TARI ha sostituito la TARES, che è stata in vigore per il solo 2013 e che, a sua volta, aveva preso il posto di tutti i precedenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria (TARSU, TIA1, TIA2).

Negli ultimi cinque anni almeno, diversi Comuni avrebbero sbagliato il calcolo della Tari: un errore nel computo della quota variabile del tributo che ha fatto lievitare a dismisura il prelievo, a spese di migliaia di famiglie.

Sulla base di quanto è emerso, i contribuenti hanno pagato una tassa rifiuti molto più alta del dovuto. Questa quota, infatti, andrebbe calcolata una sola volta sull’insieme di casa e pertinenze immobiliari (ovvero posti auto, cantine, soffitte, box), tenuto conto del numero dei familiari. L’esistenza di svariate pertinenze, infatti, non accresce la quantità d’immondizia prodotta dal nucleo familiare. I Comuni accusati di averla maggiorata, invece, l’avrebbero applicata tante volte quante sono le pertinenze dell’abitazione: in questo modo il balzello è così stato gonfiato, in alcuni casi fino a raddoppiare.

Il contribuente, dopo aver attentamente verificato la propria posizione già nell’avviso di pagamento, dovrebbe quindi chiedere al Comune il rimborso di quanto indebitamente pagato o la compensazione sulla bolletta dell’anno prossimo. L’operazione dovrebbe comunque passare attraverso una rideterminazione complessiva delle tariffe, riguardante l’intera platea delle utenze domestiche: quelle con pertinenze, che sono state penalizzate e quelle senza pertinenze. Ci sono comunque cinque anni di tempo dal versamento per chiedere il rimborso, che il Comune dovrebbe effettuare entro 180 giorni dalla presentazione dell’istanza. Ovviamente l’eventuale riscontro negativo ovvero il silenzio-rifiuto espone l’ente ad un contenzioso che potrebbe rivelarsi controproducente, alla luce della recente interpretazione ministeriale.

Sono pochi i Comuni che hanno espressamente previsto nei loro regolamenti Tari la non applicabilità della quota variabile alle pertinenze dell’utenza domestica. Si dovrebbero quindi leggere attentamente gli avvisi di pagamento che l’ente ha inviato a tutti i contribuenti (la Tari riscossa normalmente su liquidazione d’ufficio) e verificare, in caso dipertinenze, che la quota variabile applicata risulti pari a zero euro.

In genere l’avviso di pagamento della Tari contiene il riepilogo dell’importo da pagare, le istruzioni per il versamento (scadenza rate e codice tributo) nonch il dettaglio delle somme. in questa parte che l’ente indica le unit immobiliari (con i dati catastali: foglio, particella, sub), la superficie tassata, il numero degli occupanti e la quota fissa e variabile distinta per ogni unit immobiliare. La quota variabile deve essere presente solo per l’abitazione, non anche per le eventuali pertinenze.

L’articolo 1 comma 164 della legge 296/2006 (finanziaria 2007) stabilisce che il rimborso delle somme versate e non dovute deve essere richiesto dal contribuente entro il termine di cinque anni dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui stato accertato il diritto alla restituzione. La stessa norma impone inoltre all’ente di effettuare il rimborso entro centottanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza, ma non da escludere un eventuale silenzio-rifiuto da parte dell’ente.

Il contribuente, in caso di diniego espresso al rimborso, ha 60 giorni di tempo per proporre ricorso alla commissione tributaria provinciale territorialmente competente. Nel caso di silenzio-rifiuto – che si forma dopo 90 giorni dalla presentazione dell’istanza (articolo 21 Dlgs 546/92), ma consigliabile attendere 180 giorni previsti dalla norma sui tributi locali (comma 164 legge 296/06) – il contribuente deve proporre ricorso entro cinque anni (termine di prescrizione del diritto secondo la giurisprudenza pi recente).

L’Associazione, per chi fosse interessato, provvederà ad effettuare un’istanza di accesso e diffida tramite raccomandata o Pec, per conoscere i criteri e le modalità di calcolo della tassa sui rifiuti applicata dal Comune sul proprio territorio.

Immobili collabenti non applicabili le agevolazioni prima casa

L’agevolazione prima casa non è applicabile agli immobili classificati come collabenti, con attribuzione della categoria F/2. Lo ha evidenziato l’Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello n. 357 del 30 agosto 2019, con cui ha specificato come infatti nel caso di inidoneità assoluta ed oggettiva all’utilizzo dell’immobile abitativo che si intende acquistare, il contribuente non è legittimato a fruire delle agevolazioni “prima casa”, poiché l’immobile in questione non può essere equiparato neanche ad un immobile in corso di costruzione.

L’Agenzia delle Entrate ha emanato la risposta a interpello n. 357 del 30 agosto 2019 in tema di applicabilità anche ad immobili classificati come “collabenti” delle agevolazioni fiscali previste per la prima casa.

L’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 dispone espressamente l’applicazione dell’aliquota agevolata del 2% nell’ipotesi in cui vengano trasferite case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, ove ricorrano precise condizioni. Deve trattarsi, pertanto, di unità immobiliari che, sulla base di criteri oggettivi, risultino astrattamente idonee al concreto soddisfacimento di esigenze abitative. Per criteri di uniformità di applicazione, e per assicurare l’obiettiva valutazione del presupposto oggettivo dell’agevolazione, si ritengono “case di abitazione” i fabbricati censiti nel Catasto dei Fabbricati nella tipologia abitativa.
Invece, l’attribuzione della categoria F/2 – Unità Collabenti è riferita ai fabbricati totalmente o parzialmente inagibili, caratterizzati da un notevole livello di degrado che ne determina l’incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio. Lo stato di fatto di tali costruzioni non consente l’iscrizione in altre categorie catastali. Si tratta di una classificazione comunque durevole del bene immobile, mentre le classificazioni F/3 e F/4, relative ai fabbricati in corso di costruzione e in corso di definizione, sono necessariamente provvisorie, per un periodo che va dai 6 ai 12 mesi.

Infatti, l’agevolazione “prima casa” compete ai fabbricati in corso di costruzione, categoria catastale F/3, destinati ad abitazione, ossia strutturalmente concepiti per uso abitativo; non è, invece, richiesto che gli stessi siano già idonei a detto uso al momento dell’acquisto.
Pertanto nel caso di inidoneità assoluta ed oggettiva all’utilizzo dell’immobile abitativo che si intende acquistare, il contribuente non è legittimato a fruire delle agevolazioni “prima casa”, poiché l’immobile in questione non può essere equiparato ad un immobile in corso di costruzione.

Installazione canna fumaria serve il consenso del Condominio

Non è necessario il consenso dell’assemblea condominiale per installare una canna fumaria sul muro perimetrale, purché non venga leso il diritto all’utilizzo della parete comune e non si eseguano interventi particolarmente invasivi che ne modifichino la funzione.

La giurisprudenza (Tar Marche, Sez. I, sentenza n. 648 del 01.08.2017) ha stabilito che l’installazione di una canna fumaria a beneficio del singolo condomino, da realizzarsi con regolare concessione edilizia sul muro perimetrale dell’edificio o della corte interna, è possibile anche senza il consenso maggioritario degli altri condomini, purché sia rispettato l’uso del muro comune da parte di tutti e non sia alterata la normale destinazione con interventi sproporzionati al risultato da raggiungere.

La realizzazione di una canna fumaria su un muro perimetrale comune ad opera di un singolo condomino dovrebbe comunque rispettare determinate distanze, che alcune decisioni giurisprudenziali hanno individuato in almeno 75 cm. (in alcuni casi 1 metro) dai più vicini sporti dei balconi di proprietà esclusiva degli altri condomini. Vero è che spesso i Comuni fissano delle norme speciali imponendo vincoli per la collocazione delle canne da installare ad almeno 1 metro al di sopra del colmo dei tetti, dei parapetti e di qualunque altro ostacolo o struttura distante meno di 10 metri onde evitare immissioni nocive o sgradevoli a terzi.

Va aggiunto, poi, che la canna fumaria installata, pur nel rispetto delle distanze legali, non deve, sia per la sua dimensione che per la sua ubicazione, ridurre in maniera rilevante la visuale degli altri condomini con affaccio sulla parete interessata, in modo tale da rispettare l’uso comune del muro perimetrale.

D’altronde, è la stessa legge che impone di realizzare camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti di combustione direttamente sopra il tetto degli edifici per tutti gli impianti termici di nuova installazione.

Legge di Bilancio 2019 per la famiglia tutte le novità presenti in manovra

Cambia con la manovra il congedo di maternità. Chi vorrà (previa autorizzazione del medico) potrà rimanere al lavoro fino al nono mese, portandosi in dote l’intero periodo di astensione di 5 mesi a dopo il parto. Nel testo si spiega che “è riconosciuta alle lavoratrici la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”.

Cambia il congedo di paternità che passa a cinque giorni. Una misura tuttavia non è strutturale, ma prevista solo per il 2019. Inizialmente il congedo obbligatorio per i papà era previsto in un solo giorno, aumentato poi a due giorni per il 2017 e a 4 giorni per il 2018. Ora, la Legge di Bilancio inserisce un’ulteriore modifica al comma 354 della legge 232/2016, portando l’astensione obbligatoria appunto a cinque giorni per il solo 2019. Le regole per la fruizione restano le stesse, per cui bisogna utilizzare queste cinque giornate di astensione obbligatoria nei primi cinque mesi di vita del bambino, anche in via non continuativa. E’ poi stata prorogata al 2019 anche la possibilità di utilizzare un ulteriore giorno di congedo, che è facoltativo, in alterntiva alla madre. Significa che i due genitori devono mettersi d’accordo, prevedendo che la madre rinunci a un giorno di congedo di maternità obbligatoria in favore del padre.

Il bonus asilo nido, ovvero il contributo statale di 1.000 euro per chi deve mandare il proprio figlio in un asilo nido pubblico e privato, potrebbe aumentare fino a 1.500 euro. Questo grazie a un emendamento alla Legge di bilancio 2019 presentato e approvato in Commissione bilancio della Camera. L’aumento di 500 euro sarà messo a disposizione per il triennio che va dal 2019 al 2021. Dal 2022 sarà rideterminato, ma in ogni caso non potrà essere inferiore ai mille euro. Il bonus asilo nido è un contributo per il pagamento delle rette di asili nido pubblici e privati autorizzati e per forme di assistenza domiciliare. L’agevolazione attualmente viene stanziata in 11 rate mensili di pari importo (ora 90,91 euro che salirebbe a 136,36 euro) per ogni retta pagata e documentata. Il bonus viene invece pagato in unica soluzione per l’assistenza presso la propria abitazione, a bambini sotto i tre anni affetti da gravi patologie croniche. È l’Inps a erogare questa forma di aiuto.

Carta famiglia
Viene potenziata la Carta famiglia, con l’allargamento della platea a nuclei con almeno tre figli fino a 26 anni (non più 18 anni).
Infine, c’è in manovra un lungo capitolo dedicato al Fondo per le politiche della famiglia, che verrà utilizzato per finanziare Osservatorio nazionale sulla famiglia, Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, l’elaborazione di un Piano nazionale per la famiglia, interventi volti a valorizzare il ruolo dei consultori familiari e dei centri per la famiglia, interventi volti alla prevenzione di ogni abuso sessuale nei confronti dei minori e al contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, nonché progetti volti ad assicurare adeguati percorsi di sostegno, anche di natura economica, ai minori orfani per crimini domestici e alle loro famiglie, affidatarie o adottive, progetti finalizzati alla protezione e alla presa in carico dei minori vittime di violenza assistita, interventi a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, per il sostegno dei genitori separati e divorziati, per la diffusione della figura professionale dell’assistente familiare, agevolazioni per le famiglie con almeno tre figli minori, nuove iniziative di conciliazione del tempo di vita e di lavoro e di welfare familiare aziendale, varie tipologie di interventi per famiglie in condizioni di disagio, interventi in materia di adozione e di affidamento.

Le norme citate sono state approvate in commissione Bilancio alla Camera, e di conseguenza al momento fanno parte della manovra economica. Tuttavia l’iter della legge non si è ancora concluso, mancano il passaggio in aula alla Camera e poi il dibattito in Senato.

Nonni, vedere i nipoti è un diritto

Con una recente sentenza anche la Corte di Giustizia Europea ha sancito il diritto dei nonni alle visite nei confronti dei nipoti minorenni in seguito a separazione o divorzio.

Con una interessante sentenza depositata il 31 maggio la Corte è intervenuta a chiarire la nozione di “diritto di visita” fissata nel regolamento n. 2201/2003 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e sulla responsabilità genitoriale (Bruxelles II bis).

A rivolgersi alla Corte Ue è stata la Cassazione bulgara alle prese con una controversia tra una donna, residente in Bulgaria, la quale chiedeva di ottenere il diritto di visita nei confronti del minore, e il suo ex genero residente in Grecia con il figlio.
I giudici bulgari, in primo e secondo grado, si erano dichiarati incompetenti in base al regolamento n. 2201/2003 che, sul diritto di visita, attribuisce la competenza al giudice dello Stato membro in cui il minore ha la residenza abituale.

La Corte Ue è partita dall’esame dell’art. 2 del regolamento che si occupa del diritto di visita, una nozione di carattere ampio, da interpretaretenendo conto del suo carattere letterale, dell’economia generale e degli obiettivi del regolamento in quanto la norma non fissa limiti sotto il profilo soggettivo e pertanto non esclude nessun beneficiario.

Inoltre, nel documento di lavoro preparatorio al regolamento era richiamato il progetto di Convenzione del Consiglio d’Europa sulle relazioni personali riguardanti i minori evidenziando che questi ultimi hanno diritto ad intrattenere relazioni personali non solo con i genitori ma anche con i nonni.

Alla luce dei diversi elementi analizzati, la Corte conclude che il diritto di visita non è collegato all’esercizio della responsabilità genitoriale pertanto, la domanda dei nonni, rientra nell’anbito di applicaizone del regolamento n. 2201/2003 e la competenza va attribuita al giudice dello Stato membro in cui risiede il minore.
In caso contrario, d’altra parte, si avrebbe il rischio di decisioni confliggenti con giudici di più Stati membri che potrebbero rivendicare la propria competenza in base alle norme interne, spesso contrastanti tra loro.

Qualora il genitore o altra persona impedisca l’esercizio di tale diritto, i nonni, dunque, possono ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché vengano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Il diritto ai rapporti significativi con i minori non è però assoluto e incondizionato. Esso può essere esercitato solo se il giudice accerta che al minore faccia bene la frequentazione dei nonni. Difatti la legge pone al centro della tutela l’interesse del minore ad una crescita personale sana ed equilibrata, lontano da possibili conflitti e relazioni pregiudizievoli.

La soluzione presuppone allora il compimento da parte del giudice di vere e proprie indagini sulla famiglia e, necessariamente, l’ascolto dei minori affinché possano emergere la loro volontà e le loro esigenze.

Quando è possibile operare la compensazione tra crediti in ambito condominiale

E’ bene ricordare che condominio e singoli condòmini devono essere considerati alla stregua di due soggetti differenti. Da una parte il creditore (condominio o condomino a seconda dei casi) e dall’altra il debitore (ossia il condomino o il condominio).

Ipotesi in cui le parti abbiano reciproche ragioni di credito e debito sono disciplinate dagli artt. 1241 e ss. c.c..

L’art. 1241 c.c., rubricato Estinzione per compensazione, recita “Quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti, secondo le norme degli articoli che seguono”.

Chiaramente deve trattarsi di debiti scaduti ed incontestati. In buona sostanza il condomino deve dare e il condomino deve ricevere e viceversa senza che sulle due situazioni di debito/credito esistano controversie.

Allo stesso modo, il condominio può essere creditore solamente sulla base di un atto specificamente approvato dall’assemblea o comunque di un provvedimento reso dall’amministratore nell’ambito dei propri poteri e non contestato (art. 1133 c.c.).

La compensazione, inoltre, non opera nel caso di preventiva rinunzia da parte del debitore (art. 1246 n. 4 c.c.) e nei casi specificamente indicati dalla legge (art. 1246 n. 5 c.c.).

Non rientrando i rapporti condominiali nei casi di espresso divieto legislativo, si può concludere che in assenza di differenti preclusioni (come quelle sopra indicate) le parti potranno operare la compensazione, ed anzi nell’ipotesi in cui il condominio o il condomino chiedano all’altra parte il pagamento di quanto dovuto, la controparte potrà eccepire la compensazione.

Naturalmente questa opera in ragione della consistenza delle relative ragioni debito/credito.

A livello contabile è doveroso che risulti questa operazione con una specifica indicazione della sua esecuzione.

La compensazione tra le parti può essere fatta valere anche in giudizio (es. in sede di opposizione a decreto ingiuntivo), ma come ricorda l’art. 1242 c.c. non può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Come dire: se la si vuole far operare è necessario farne esplicitamente richiesta, chiaramente fornendo la prova dell’esistenza del credito.

Stretta per il bonus cultura per i diciottenni

Il disegno di legge di bilancio già prevedeva la riduzione di 20 milioni dello stanziamento disponibile per il 2019, portandolo da 290 milioni a 270 milioni, ora una modifica alla manovra approvata dalla commissione Bilancio della Camera pone un ulteriore limite massimo di 230 milioni di euro per il bonus per i diciottenni attraverso un meccanismo che dovrà tenere conto dell’Isee del nucleo familiare di appartenenza.

I 40 milioni sottratti al bonus saranno distribuiti ad altre attività culturali: dal Fondo unico per lo spettacolo al sostegno di festival (+8 milioni di euro), cori e bande (1 milione di euro), dalle fondazioni lirico-sinfoniche a Matera (12,5 milioni di euro), da iniziative culturali in zone terremotate (3 milioni di euro) alla riqualificazione delle periferie, anche attraverso progetti di arte contemporanea (2 milioni di euro), dalla promozione delle arti applicate come moda, design e grafica (3,5 milioni), alla digitalizzazione del patrimonio culturale (4 milioni di euro).

Introdotto dal governo Renzi, il bonus cultura è un’agevolazione riservata ai giovani italiani e stranieri, risiedenti in Italia, che compiono 18 anni e prevede l’erogazione di 500 euro tramite l’applicazione “18app” per l’acquisto di libri scolastici e di lettura, biglietti per mostre, fiere, musei, aree archeologiche, spettacoli teatrali, concerti, cinema.